Noto – La diocesi gemella di Butembo Beni non conosce pace ormai dal 1996. Dall’inizio del mese di ottobre ad oggi, sono circa 200 i civili massacrati nel territorio di Beni. Entrando nei dettagli, sembra di trovarsi dinanzi ad un bollettino di guerra: dal 2 al 9 ottobre sull’asse Eringeti-Oicha sono stati uccisi 23 civili. Tra il 15 ed il 16, a Ngadi e alla periferia di Beni sono state registrate altre 32 vittime. E nella notte tra il 17 il 18 sono state sterminate ancora 24 persone, tra cui 9 donne e 10 bambini, tutti passati a fil di machete.
È importante dare i particolari delle date dei massacri, perché ci sono state al contempo delle coincidenze non certamente senza importanza. Infatti, la versione ufficiale è quella che autori delle stragi siano dei ribelli ugandesi che, in lotta con il governo attuale dell’Uganda, si sono rifugiati in Congo. Ma non si spiega bene come questi ribelli abbiano potuto agire impunemente (non uno è stato catturato o idenficato durante i massacri) in una zona sotto il controllo assoluto delle truppe regolari congolesi, attualmente ben equipaggiate, e mentre proprio il 17 e il 18 ottobre si trovavano a Beni il generale Léon Mushale, comandante in capo della Terza zona di difesa della Repubblica Democratica del Congo, il generale Emmanuel Lombe, comandante dell’esercito nel Nord Kivu, il generale Martin Kobler, comandante dei Caschi Blu dell’Onu, ed il governatore del Nord Kivu Julien Paluku. Ci si chiede: come sono stati possibili questi eccidi in un territorio presidiato dall’esercito congolese, durante la permanenza di personalità così autorevoli e rappresentative dello stato e della comunità internazionale? Come un gruppo di ribelli abbia potuto agire in modo così cruento aggirando del tutto la vigilanza delle truppe regolari?
Ma quasi a siglare una tragicommedia infernale, il 29 ottobre lo stesso presidente della Repubblica Joseph Kabila si è recato a Beni e, in beffa al suo dichiarato scopo di rassicurare la popolazione, la notte del suo stesso arrivo sono state trucidate ancora 14 persone in località Kampi ya Chui ed altre 8 l’indomani, giorno della sua partenza, nel quartiere Bel Air alla periferia di Beni. Da allora, le vittime dei massacri non si contano più e solo approssimativamente possiamo dire che alla fine di questo mese di novembre ammontano a circa 200. Se la presenza dello stesso presidente della Repubblica non funge da deterrente contro il nemico, c’è da chiedersi allora se il nemico possa effettivamente identificarsi in un gruppo di ribelli (e perché questi ribelli ugandesi dovrebbero agire in Congo piuttosto che in Uganda) o se invece non si tratta dei soliti Rwandesi e Ugandesi che, sotto l’egida complice e interessata degli USA, mirano piuttosto a “colonizzare” il territorio congolese nelle zone di confine del nord Kivu, ricco di giacimenti minerari. Se così fosse, si spiegherebbe la manifesta “impotenza” delle autorità congolesi (compreso il Presidente della Repubblica) ad arginare i massacri. In effetti già da parecchio tempo è in atto una strategia di balcanizzazione del Congo, alla quale non sembra estraneo lo stesso presidente Kabila. A dicembre dell’anno scorso, dopo innumerevole sforzi di mediazione della comunità politica internazionale, i ribelli del movimento M23 (che si dichiaravano congolesi ma che erano in effetti Rwandesi) avevano finalmente deposto le armi, ma nella speranza di essere “reintegrati” tra le truppe regolari congolesi (ed avere così sempre le mani sulle leve di comando).
Fallito questo tentativo, grazie anche all’opposizione forte e decisa della società civile congolese, i cosiddetti ribelli M23 si sono trasformati con la nuova denominazione ADF, agendo sempre allo scopo di destabilizzare l’unità del Congo. Chi ne paga le spese, rimettendoci la vita, sono attualmente i nostri gemelli della diocesi di Butembo Beni che, loro malgrado, si trovano sulla contesa zona di confine con Rwanda e Uganda. Infine, per maggiore chiarezza, sarebbe forse necessario rivedere nella nostra opinione pubblica occidentale il tanto conclamato genocidio dei Rwandesi Tutsi nel 1994. Agli occhi di tanti Congolesi, infatti, coloro che continuano a dichiararsi vittime del genocidio passato sarebbero in effetti gli autori delle stragi attuali.
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