Qual è il nome più corretto per il tipico dolce siciliano a base di mosto d’uva?
DI TURI MONCADA. Con mandorle tritate e abbrustolite o senza, di mosto bianco o nero. Ognuno ha la propria ricetta per il tipico dolce siciliano, tra le tradizioni culinarie dell’isola. Ma quando ti siedi a tavola cosa mangi: un bel piatto di Mostata o di Mostarda? Qual è il termine più corretto per indicare il dolce a base di mosto d’uva? Qualche tempo fa un amico romagnolo in vacanza in Sicilia mi chiese di assaggiare un dolce locale. Era fine settembre, gli proposi la ‘mostarda’. Pronunciai il nome nella forma italiana pensando, molto ingenuamente, che indicasse in maniera univoca la mostata siciliana. Naturalmente mi sbagliavo. La risposta mi lasciò sbigottito: ‘No, guarda non digerisco le mele cotogne’. E ora che c’entrano le mele cotogne con la mostata? Pensai.
Mi fu chiaro che il nome, nella sua forma in italiano, non indicava solo il nostro dolce tipico a base di mosto d’uva. Dov’era l’inghippo? Eccolo spiegato. Per Mostarda, in giro per l’Italia, si intende la cottura di prodotti simili a marmellate, un prodotto ottenuto con la lavorazione di frutta, canditi, sciroppi, semi o olio essenziali di senape, solo in alcuni casi è previsto l’aggiunta di mosto. Vogliamo andare oltre i confini nazionali? Benissimo. Negli Usa la mostarda è la salsa da mungere sugli oleosi hotdog, in Francia la moutarde, indica la piccante senape, lavorata nella sua varietà bruna con l’aggiunta di aceto, sale e acido citrico, in Inghilterra la mustard si ottiene con la macinazione di vari tipi di semi di senape e l’aggiunta di peperoncino di Cayenna. Tutto questo ha qualcosa a che vedere con la nostra mostata siciliana?
La mostata siciliana esiste solo in Sicilia. Alcune fasi della preparazione, l’aggiunta della ‘pietra bianca’ o della cenere per assorbire l’acidità e conferire dolcezza, si praticano solo nella terra dei Ciclopi. Poi c’è l’aggiunta di farina, rigorosamente 100 grammi ogni litro di mosto. Rispetto al resto del mondo in Sicilia la mostata è l’esaltazione di una cultura: quella della vinificazione e della tradizione millenaria delle viti e dell’uva. E’ l’esaltazione del sapore del mosto d’uva senza aggiunte. Null’altro. Un dolce tipico delle più povere tradizioni delle campagne siciliane: mosto e uva sono da sempre tesori delle nostre tavole. Niente frutta, sciroppi, senape o peperoncino di Cayenna. Per questo non riesco a capacitarmi del perché ci si ostini a chiamarla ‘mustata’ in siciliano ma ‘mostarda’ in italiano.
In effetti un motivo c’è. Nella lingua italiana la parola ‘mostata’ non esiste. Così dice almeno Treccani. E chi se ne frega! La mostata, a differenza delle tante mostarde esistenti in circolazione, indica un prodotto unico nella sua lavorazione e tradizione, per questo bisognerebbe difenderne il nome per mantenere l’unicità. E poi c’è sempre l’escamotage: virgolette, licenza poetica e via, tutto torna normale. Per quanto mi riguarda, nell’era delle faccine su whatsapp, con un pizzico di orgoglio siculo, ho deciso: come la mangio la scrivo ‘mostata’. Con buona pace degli amanti della lingua italiana… e degli hotdog americani.
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