Il contrabbassista parla del suo percorso musicale e dei progetti artistici in corso. Suonare per trovare il senso della vita rifiutando logiche da mestierante.
di Sergio Taccone. “Da bambino cominciai a sei anni suonando il pianoforte grazie ai miei genitori. Vivevamo a Roma. Poi, a quindici anni, arrivò la passione per la batteria che ha caratterizzato la mia adolescenza da strumentista: il mio primo vero amore musicale. Ero un autodidatta. A ventidue anni l’amore per il contrabbasso che non mi ha più lasciato”. L’eloquio pacato e sorridente di Fred Casadei (nella foto di Francesco Rametta) si esplicita in un fluire di ricordi dove la nostalgia dei tempi andati e la realtà dinamica del presente ha un filo conduttore: la musica. Classe 1970, Casadei si divide tra live e progetti discografici e un’attività didattica che lo vede come docente di musica d’insieme al CFM, il Centro formazione musica di Pachino (Siracusa).
Pianoforte, batteria e contrabbasso: c’è abbastanza per definirla un musicista poliedrico.
“Il pianoforte ha rappresentato il mio primo approccio con la musica. Una scelta che mi è servita, eccome, nel mio percorso. Con il pianoforte comincio a scrivere i miei pezzi o a studiare cose che poi elaboro con il contrabbasso, lo strumento della mia maturità”.
Il contrabbasso è stato un lampo dopo i venti anni ?
“Andai al Giuditta di Siracusa per ascoltare un concerto jazz. Vidi un contrabbassista e fu una folgorazione. Rimasi scioccato dal suono di quello strumento e dalla simbiosi che si creava tra strumento e musicista. Avevo 22 anni: decisi di cominciare a studiare il contrabbasso. Mi applicavo anche dodici o quattordici ore al giorno. Praticamente io e lo strumento diventammo una sola cosa. E non l’ho più abbandonato. Il contrabbasso è l’anello di congiunzione tra il ritmo e la parte più profonda di un brano: quella melodica e l’armonica. Questa cosa mi ha sempre affascinato”.
Lei è stato definito un contrabbassista elegante ma piuttosto schivo ?
“Ho sempre rifiutato atteggiamenti appariscenti. Ritengo la sobrietà un valore anche quando si sta su un palco o in una qualsivoglia dimensione live. Ricordo l’eccezionale palestra musicale con Stefano Maltese o le lezioni con Alberto Amato che mi hanno insegnato tanto, fortificando il mio percorso formativo musicale”.
Qual è il suo significato intrinseco di jazz ?
“E’ il poter riuscire a mettere se stessi nella musica, cosa che nel jazz non è scontato che avvenga. Spesso si nota anche tra i jazzisti un approccio da cover band. A mio avviso, non dovrebbe mai mancare la capacità di personalizzare un pezzo. La mera copiatura più o meno conforme all’originale per me è deleteria, da approccio più burocratico che musicale. Coltrane, Monk, Charlie Parker e Miles Davis sono stati grandi perché hanno saputo innovare. Il jazz è mettere il proprio modo di suonare e di vedere le cose da un punto di vista strumentale. Il medesimo brano Gillespie lo suona in un modo, Coltrane in un altro e Duke Ellington in un altro ancora”.
Da docente come si arriva ad entrare in empatia con i ragazzi in un periodo in cui si ascolta musica gratis e a bassissima qualità, spesso scaricata da smartphone e ipad ?
“Un bambino è privo di schemi e quindi tutto diventa più facile per un insegnante. Con i ragazzi, diciamo dai 12 anni in avanti, le difficoltà aumentano. Oggi, tanti adolescenti sono convinti che il traguardo sia arrivare a X-Factor o a qualche altro talent televisivo. La logica dei talent per me è da rigettare perché deleteria. Induce i giovani a facili illusioni. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di soggetti che non hanno fatto la gavetta suonando. Ci si fa le ossa nelle serate passate suonando a stretto contatto con il pubblico, dopo aver caricato la macchina di strumenti, cavetti e amplificatori. La musica è capacità di provare emozioni e buone vibrazioni suonando: questo cerco di trasmettere ai miei allievi. Quando si riesce ad entrare in empatia con i ragazzi si prova una grande soddisfazione. Vedere la felicità negli occhi di un bambino o di un adolescente che suona uno strumento è una straordinaria emozione”.
E c’è, oltretutto, anche una funzione sociale svolta dalla musica per i ragazzi.
“Certo, impegnandosi nello studio di uno strumento si toglie tempo alla noia e quindi al rischio di finire preda di devianze molto rischiose. Ma occorre studiare, faticare giorno per giorno. E’ l’unico modo per avere risultati. Le scorciatoie sono soltanto fumo negli occhi”.
Parliamo dei suoi progetti musicali.
“Con Teresa Ranieri, una brava cantante catanese, abbiamo lanciato il duo Arma che non è la pistola o un fucile bensì l’anima detta alla siciliana maniera. Il principio di questo duo parte da precise esperienze di improvvisazione. Usiamo la forma canzone per contrabbasso e voce, adattandola alle nostre sensibilità. Abbiamo riarrangiato Kashmir dei Led Zeppelin, tratta dallo splendido album Phisical Graffiti, dove io suono il contrabbasso con l’arco. E lo stesso dicasi per altri pezzi in repertorio: brani di Jobim e dei Beatles, ad esempio. Tutto è venuto spontaneamente, senza forzature. Come nel caso di Yesterday, provato dieci minuti prima di salire sul palco. Fuori dalla Sicilia sto portando avanti tre progetti con brani inediti. Suono in un trio con Marco Colonna al clarinetto basso e il batterista friulano Stefano Giust. Abbiamo delle date già fissate a Forlì e Roma. Altri due progetti li sto portando avanti con un fisarmonicista e un violoncellista. C’è anche in cantiere l’uscita di tre album”.
Il significato e l’importanza della musica nella sua vita ?
“La musica è come l’aria che respiro: al di là che possa rimanere o meno il mio lavoro, è una parte fondamentale della mia vita. Non mi è mai piaciuto l’approccio del mestierante e con il passare degli anni, dopo aver suonato con tanta gente, sono sempre meno disposto ad accettare compromessi, come mi succedeva nel periodo in cui suonavo musica pop, tra il ’98 e il 2008. Da anni vado all’essenziale, preferendo cogliere la poesia che scaturisce dalla musica. Una scelta che mi porta a scartare senza remore progetti che non mi fanno vibrare. Se devo fare musica deve essere come dico io e come piace a me. Tutto sommato mi ritengo fortunato. La libertà è una dimensione difficile da raggiungere ma quando ti convinci di essere sulla strada buona, ti senti in pace con te stesso”.
Sertac
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