Spunti da un’intervista rilasciata nel 1982 alla Radio Svizzera dal grande regista italiano.
di SERGIO TACCONE. E’ un’estate all’insegna del cinema di Sergio Leone su Rai 3. Ogni sabato, la terza rete pubblica, in prima serata, sta riproponendo l’opera omnia del grande regista italiano con le splendide musiche di Ennio Morricone, recentemente scomparso. Nel 1982, in un’intervista rilasciata alla Radio Svizzera, Leone parlò estesamente del suo modo di fare cinema.
“Sono un pizzico di tutti i miei personaggi, con il nero e il bianco, il bene e il male e tutte le sfumature che ci possono essere in questi personaggi. Dentro ci metto un po’ di me. Sono un solitario che vivo un’esistenza abbastanza semplice e che, per contrasto, ha bisogno di sognare ed evadere per vivere una certa vita che forse non ho il coraggio di vivere”. Un’affermazione che a prima vista denotava rimpianto. “Non è un rimpianto, non avrei mai osato imitare i miei personaggi. Mi permetto di riviverli nella fantasia. E’ un sogno, bello e brutto come sono i sogni”.
I personaggi di Leone sono un misto di pigrizia e attivismo. “Sono un pigro ma in modo ragionato. Una pigrizia che nasconde anche la serietà. Quando un autore vuole arrivare a fare un suo discorso ha bisogno di tempo anche se questo costa anni di stasi. Resto ancorato ad un pensiero primario e fino a che non lo realizzo mi sento di percorrere questa strada. Mi diverto con i miei piccoli sogni”.
Leone si definisce un sognatore molto superstizioso e riservato. Anche sulla presenza delle donne nei suoi film, il regista è molto chiaro. “Le donne le vedo splendidamente. Nei miei film sono come il sale sulla minestra: da adoperare con misura e parsimonia perché molte volte distraggono. A me piacciono le donne leggere, leggiadre e frivole. Le donne impegnate, soprattutto quelle falsamente impegnate, non m’interessano. Se la donna è parte vitale di una storia ha tutta la mia attenzione”. Nella sua filmografia spicca la signora McBain di “C’era una volta il west”, interpretata da una strepitosa Claudia Cardinale.
Leone descrive la sua giornata normale. “Ho figli normalissimi, che amano la famiglia. Io ho bisogno di questo, sono vecchia maniera, un po’ patriarcale. Quando non scrivo e non leggo passo con loro la mia giornata. Sono un padre felice. Vedo tanti film in una saletta molto intima. Ne vedo di belli e di brutti. Vado anche al cinema per intuire le reazioni del pubblico. Essere aggiornati significa amare questo mestiere”. Leone e l’impegno. “Il cinema mi ha fatto vivere tante vite, – sottolinea il regista della Trilogia del dollaro – per le scoperte che fai quando approfindisci il tema, per quello che ti fa sognare fino all’ultimo giorno di lavorazione del film. Oltre ai sogni c’è anche qualche magnifico incubo. E’ la vita che insegna al cinema. La macchina da presa in mano ad un regista è un’arma micidiale. Quando un autore è sincero, lascia al pubblico la decisione del giudizio. Non mi piace il cinema che prende posizione. Sono contro certi film pseudo-politici che indicano certe cose sventolate non da un’idea ben precisa ma da una tessera di partito”.
Leone e la semplicità. “La semplicità è fondamentale. Le conclusioni devono essere semplici e questo non vuol dire che si vada a discapito della profondità”. Il cinema e i giovani: la posizione del cineasta anche in questo caso è chiara. “Non vedo ricambio, purtroppo. Il giovane è spesso in contraddizione costante con se stesso. Parlo anche dei giovani autori: amano un certo cinema, il cineasta impegnato politicamente si ostina a fare un tipo di film che scoraggia lo stesso critico che dovrebbe incesarlo. Vuole essere coerente a cose che forse non pensa e finisce per fare solo dottrinaggio politico. Per me cinema è movimento e fantasia. E attraverso la fantasia si può toccare qualsiasi tipo di argomento”.
Le responsabilità del regista affermato. “Ho fatto anche il produttore. Ho lanciato Carlo Verdone, producendo Un sacco bello e Bianco, Rosso e Verdone. La sorte mi ha irriso perché c’era l’autore dietro il giovane. Appartengo alla schiera degli artigiani passati dalla bottega degli aiuti-registi. La mia esperienza più grossa l’ho fatta in quei casi. Un’era finita. Io ho cominciato alla fine della seconda guerra mondiale. Tanti bottegai sono diventati grandi artisti: Camerini e Blasetti, ad esempio. Oggi tutti vogliono arrivare subito a fare i registi. E quando si sbaglia mossa non si può più tornare neanche a fare l’aiuto-regia. Una certa tecnica deve essenzialmente essere conosciuta e io l’ho appresa facendo bottega cinematografica”.
Leone, l’atteggiamento del regista e una predizione. “Il cinema ha bisogno di spazio. Qualsiasi tipo di film visto in uno schermo grande è più interessante rispetto ai piccoli schermi televisivi. In futuro, una città avrà quattro o cinque cinema, con uno schermo di 60 metri, dove il pubblico andrà come va a vedere le partite di football. Il cinema non morirà mai”.
Sulla foce del Rio Bravo o nella stazione di Tucumcari, ad Agua Caliente o nel cimitero di Sad Hill, attraversando ponti e fiumi, inseguendo banditi e assassini senza scrupoli, cercando sacche piene di dollari sonanti dentro tombe senza nome, impegnandosi per bloccare la marcia di un plotone di soldati nel contesto della rivoluzione messicana o scortando una carrozza con una donna bellissima lungo la Monument Valley: i film di Sergio Leone, nel binomio perfetto e inscindibile con le musiche di Ennio Morricone, continueranno a farci sognare. Un cammino che ci farà incontrare, ogni volta, pistoleri solitari, bande di desperados e colonnelli a caccia di vendette, suonatori di armonica e capitani che sperano di far saltare un ponte per fermare la guerra civile, cacciatori di taglie ed esperti in esplosivi. Il punto di ritrovo, l’approdo sicuro, sarà sempre Sweet Water.
Sertac
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