Il racconto di tre gol rimasti indelebili nella storia della nazionale azzurra.
Di SERGIO TACCONE. Nella storia della nazionale italiana ci sono gol che hanno segnato in modo negativo le carriere di alcuni portieri. Una serie che ha visto aggiungersi, giovedì scorso, un altro tassello: la sventola improvvisa del macedone Aleksandar Trajkovski, pregna di curaro, che ha battuto Donnarumma sancendo l’addio dell’Italia al Mondiale 2022 nel modo più clamoroso e beffardo. Certo, la reattività palesata dall’estremo difensore azzurro non sembra quella di un giovane ritenuto come tra i migliori interpreti del ruolo nel calcio attuale. Tuttavia, il tiro del macedone è tanto repentino quanto preciso. Un jolly finito in rete dopo aver fatto quasi la barba al palo. Un momento che ha riproposto il solito interrogativo: avrebbe potuto fare di più il portiere azzurro in quella circostanza? Un affranto Francesco Repice, dai microfoni di Radio Rai, ha definito “senza pretese” il tiro del ventinovenne di Skopje. Non siamo d’accordo con il grande radiocronista italiano. La conclusione dell’ex attaccante del Palermo è stata scagliata con l’intenzione di far male. E da quella zolla non è la prima volta che accade.
Donnarumma è in buona compagnia. Peter Shilton, tra i migliori portieri del football inglese, si rese artefice di un grave errore in Inghilterra-Polonia del 1973. Topica che estromise la nazionale britannica dal Mondiale ’74. Contro la Polonia, Shilton si lasciò passare da sotto il corpo un tiro non irresistibile di Domarski. E fu il pareggio polacco in un incontro dominato dagli inglesi con Tomasczewski, estremo difensore della Polonia, protagonista in positivo della partita che estromise la Perfida Albione dalla fase finale della Coppa del Mondo. L’ex portiere del Milan, già crocifisso dopo la recente cappellata al Bernabeu in Champions, si porterà dietro quell’attimo sfuggente per tutta la vita. Un estremo difensore che sembra aver smarrito la rotta giusta, come l’equipaggio di Ulisse che, a ridosso di Itaca, apre l’otre dei venti e torna a vagare in mare aperto in cerca del giusto approdo. Gigio Donnarumma ha l’età per rifarsi. Il presente però è simile ad una salita ripida del Tour de France da affrontare con una pesante zavorra dietro.
Abbiamo scelto tre “attimi sfuggenti” nella storia dei portieri della nazionale italiana. Momenti che hanno relegato i guardiapali azzurri dietro la lavagna.
Dino Zoff e il tiro da “distanza siderale” di Haan ad Argentina ‘78
Prima delle gioie di Spagna ’82, per Dino Zoff ci furono i dolori e le amarezze patite nel mondiale giocato in terra argentina. Nella sfida contro l’Olanda, decisiva per l’accesso in finale, il portiere azzurro venne uccellato da una sventola di lunga gittata del ventinovenne Arie Haan, uno dei titolari della nazionale orange che aveva strabiliato il mondo nel ’74 mancando solo la vittoria finale. Il giocatore di Finsterwolde fece partire un fendente che sorprese Zoff. Un’azione partita da un calcio di punizione toccato da Krol sulla trequarti. Haan – soprannominato “bombarie” (bombardiere) – sparò un proiettile che finì in rete dopo aver incocciato il palo interno alla sinistra del guardiapali azzurro. Una rete rimasta come macchia indelebile nella straordinaria carriera del portiere friulano e che innescò un processo calcistico contro la nazionale. Intervistato da Alfeo Biagi del Guerin Sportivo, il Ct azzurro, Enzo Bearzot, difese i suoi giocatori: “Abbiamo fatto molto di più di quello che i nostri tifosi si aspettavano da noi. Non abbiamo potuto centrare l’obbiettivo della finale per il primo posto essenzialmente per una ragione molto precisa: il gioco duro, falloso, intimidatorio degli olandesi. Entravano come furie, l’arbitro lasciava correre, gli azzurri hanno finito per intimidirsi. Ed è venuta la nostra prima, immeritata sconfitta”.
Il giornalista incalzò il Vecio. “Come si fa a sentirsi già in finale vincendo soltanto per un gol a zero contro gli olandesi? Quelli sono satanassi che attaccano come furie dal principio alla fine, sai che gli frega di aver buscato una rete. Noi, fatto il gol, subito tutti in difesa. E allora i cecchini arancioni ti hanno fatto secco il povero Dino Zoff, imputato numero uno del Mondiale dell’Italia”. Bearzot (l’intervista di Biagi è del giugno ’78, subito dopo la fine del mondiale argentino) ammise un solo errore del suo portiere. “Non aver visto in tempo il pallone scagliato da Haan, il pallone del secondo gol olandese”. La stampa italiana non fu tenera nei riguardi di Zoff: “Quattro tiri verso la nostra porta, quattro gol…”, “Con un altro portiere, l’Italia avrebbe vinto il mondiale”, “Gli anni passano per tutti, neppure Zoff può sfidare la legge del tempo”. Alfeo Biagi aggiunse: “Dispiace dirlo perché Zoff è un uomo e un giocatore esemplare, ma un fondo di verità c’è. Si è fatto sorprendere da tiri da lunga distanza, forse perché nel nostro campionato non si batte a rete se non da un paio di metri dal portiere. Forse l’ha ingannato la luce del River, forse non era più nella condizione smagliante dell’inizio. Ma una cosa è certa: Zoff, purtroppo, ha colpe precise nella malinconica conclusione del nostro Mondiale”. Il portiere azzurro avrebbe avuto modo di riscattarsi quattro anni dopo, sfoderando la parata “epocale” contro il Brasile, nei minuti finale dell’epica sfida del Sarria di Barcellona il 5 luglio ’82. L’attimo fuggente carico di gloria imperitura.
Giovanni Galli impietrito davanti al Pibe de Oro a Messico ‘86
Terzo portiere ad Euro 80 e Spagna 82, titolare ai Mondiali 1986. In terra messicana, Giovanni Galli diventò il numero uno della Nazionale, arrivata alla fase finale dopo un periodo di forti pressioni. Enzo Bearzot mantenne l’incertezza sulla scelta del guardiapali durante la fase di preparazione: in lizza con Galli, appena passato al Milan, c’era il romanista Franco Tancredi. Un ballottaggio durato quasi un anno, estenuante soprattutto a livello psicologico. Nei cinquanta giorni di ritiro i due portieri vissero sulla corda dell’incertezza. Galli perse quattro chili e tante energie fisiche e nervose. Alla vigilia della partita inaugurale contro la Bulgaria, Bearzot comunicò a Galli di essere il titolare. L’attimo sfuggente giunse contro i futuri campioni del mondo dell’Argentina, partita che valse al portiere toscano l’epiteto, coniato dalla stampa italiana, di “gatto di sale”. A batterlo, in quella circostanza fu il fuoriclasse dei fuoriclasse, Diego Armando Maradona, che in quel Mondiale raggiunse vette calcistiche eccelse. “Maradona mi fece fare la figura del bischero ma non sono stato il solo”, dirà Galli in sua discolpa. Le critiche verso il portiere si fecero spietate. Da gran signore qual era, Bearzot difese anche in questo caso il suo portiere. “Sei l’ultimo ad avere colpe, prima di te ce ne sono altri due più responsabili. Però tu sei il portiere, se la prendono con te”, disse il Ct rivolto al suo estremo difensore. Dopo il rimbalzo del pallone, Maradona andò in elevazione colpendo la palla (foto sopra) nel momento esatto in cui il portiere aveva già deciso cosa fare. L’argentino era in posizione defilata, sulla sinistra, spalla a spalla con Scirea. Il portiere si aspettava un tiro potente dato che, in quel momento, il piede d’appoggio di Maradona non permetteva particolari rotazioni.
La soluzione più logica sarebbe stata un colpo forte o un pallonetto. Galli, rimasto in posizione tra i pali, escluse la seconda ipotesi, indurendo ogni muscolo del corpo, pronto alla respinta. Il Pibe de oro adoperò il piede sinistro come il tennista quando usa la racchetta sottorete: palla smorzata e con un effetto essenziale, sufficiente a trovare l’unico pertugio disponibile prima di finire in rete. Un gesto straordinario che solo la superficialità di certi pseudo esperti di calcio avrebbe declassato “a papocchio del portiere”. In realtà, l’argentino compì una giocata strepitosa, un tocco così morbido che il pallone, al momento del rimbalzo per terra, era ancora mezzo metro fuori dalla porta. Un colpo a rientrare di quelli che si vedono su un tavolo di biliardo. “Il mio tentativo di parare allungando semplicemente un braccio, è stato un errore ma ero così contratto in attesa del tiro potente che non avrei comunque avuto la possibilità fisica e mentale di cambiare atteggiamento”, dichiarò Galli a sua (oggettiva) discolpa. Adalberto Bortolotti, direttore dei servizi esterni del Guerin Sportivo, andò giù pesantemente contro il portiere dell’Italia. “Prima accenna a farglisi incontro, poi ci ripensa e arretra, offrendosi così inerme al genio perverso di Diego. Maradona lo trafigge, irridendolo con un tiro carezzato, dall’alto in basso. Enorme prodezza balistica di un fuoriclasse, ma grossa papera del portiere”. Nessun riferimento al palese ritardo in fase di chiusura di Gaetano Scirea. Beppe Dossena, non convocato per la spedizione messicana, escluse colpe del portiere azzurro: “Il gol di Maradona è da catalogare tra i più belli, non tanto per il modo nel quale è stato realizzato ma perché credo che uno qualsiasi di noi giocatori, dimenticando per un momento i fuoriclasse, da quella posizione cerchi sì l’angolo che ha trovato Maradona ma in maniera diversa: imprimendo al pallone una maggior forza a scapito quindi della precisione e della lucidità ma soprattutto a danno dell’incolumità fisica di qualche spettatore”. Galli non ebbe altre occasioni per riscattarsi. Diego Maradona, parlando di quella partita del Mondiale ’86, dichiarò: “Il gol del pareggio è stata una grande soddisfazione, una bella giocata. Salire lassù per anticipare Scirea e Galli: ho toccato di collo pieno, centrando proprio l’angolo lontano. Correndo verso le tribune ho visto la gioia della gente. Il football è questo: gioia e felicità”.
Walter Zenga e la fine del sogno di Italia 90
Afferrò l’aria mentre il pallone, deviato dalla testa di Caniggia, si spegneva in rete. Una serata di delusione cocente fu quella del San Paolo di Napoli, semifinale di un Mondiale che l’Italia aveva tutte le carte giuste per vincerlo. Quell’uscita kamikaze è rimasta nella carriera di Zenga come una macchia indelebile. Un’incertezza che allungò la partita ai supplementari e quindi ai rigori. Con successo finale della nazionale albiceleste. Cosa accadde quella sera? Perché quella scelta scriteriata di un estremo difensore esperto e di grande affidabilità come l’interista? L’attimo sfuggente immortalato in una foto dove le espressioni facciali di Franco Baresi (monumentale in quel Mondiale) e Maradona valgono più di mille parole. Nando De Napoli, che era in campo quella sera, ha scagionato il portiere. “So che risulta difficile ma non possiamo dare la colpa a Zenga che è stato uno dei portieri più forti del mondo. Purtroppo lui era convinto di anticipare tutti e andare in presa facile. Tant’è che ricordo benissimo che disse: ‘Lascia!’ e Ferri che marcava Caniggia non saltò. Peccato, perché eravamo un gruppo fantastico e forte. Molto più forte dell’Argentina che, al netto di Maradona e Caniggia, puntò tutto sul lato fisico e sul gioco duro”.
La vasta ombra di un dilemma, per dirla gaberianamente, è presto sintetizzata: sbagliò Zenga o si trattò di un errore dei difensori? D’accordo, nell’azione fatale entra uno stremato Donadoni che si fa sfilare banalmente la palla sulla trequarti avversaria. E, sul cross di Troglio, lo stopper Ferri non interviene. Se Zenga fosse rimasto tra i pali, quel colpo di testa l’avrebbe parato con molta probabilità. Ma siamo sul piano scosceso dei “se” e dei “ma”, una rotta che porta dritti nelle secche d’aria fritta. Ricordiamo quanto detto dallo stesso Zenga, nel 2014, in una trasmissione televisiva: “La mia uscita fu errata”. Improvvida, aggiungiamo. Ricordare il portiere che difese i pali azzurri nel ‘90 solo per quell’uscita rappresenta, tuttavia, una somma impostura.
Resta una certezza, a proposito del ruolo dell’estremo difensore: il portiere è un combattente solitario, l’Odisseo che sfida il canto delle sirene senza tappi di cera alle orecchie e senza farsi legare all’albero maestro. Un moderno Sisifo che rilancia in avanti la palla ben sapendo che la stessa tornerà minacciosa dalle sue parti, magari da direzioni inattese; il giocatore che prende il destino tra le mani e qualche volta se lo lascia sfuggire. L’ultimo baluardo, l’astronauta di Kubrick chiamato ad affrontare da solo le incognite ed i rischi dell’ingresso nell’orbita di Giove dopo aver disconnesso il fallace Hal, consapevole che nessuno potrà aiutarlo.
SERGIO TACCONE (Giornalista e scrittore. Autore di numerosi libri di “storie di calcio”, con una chiara predilezione per i colori rossoneri. Più volte presente nella “Top 10” di vendite di Amazon).
https://www.storierossonere.it/libreria-rossonera/
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